Incontriamo dopo le recite de I Due Foscari di G.Verdi, al Teatro alla Scala di Milano, al rientro da Monaco per le recite di Un Ballo in Maschera, la protagonista delle opere: il soprano napoletano, vissuta per molti anno in Valle d’Aosta, Anna Pirozzi, che ci ha gentilmente concesso questa intervista.
di Salvatore Margarone e Federico Scatamburlo
5 aprile 2016
Leggiamo nella Sua biografia, che Lei è stata una rugbista. Questa attività, questo ruolo, Le è stato utile in qualche modo nella Sua carriera lirica?
Non direttamente direi, tuttavia il rugby è un gioco di squadra, nel quale si cerca di andare avanti tutti assieme, di vincere tutti assieme, ed è una filosofia che mi segue nell’ambito della lirica, per il gioco di squadra, nel gruppo in cui si lavora insieme.
Nell’ambito operistico italiano, specialmente negli ultimi anni si sentono spesso lamentele sui giovani che non riescono ad emergere. Secondo Lei quali sono le pecche e i motivi?
Mah, tutti dicono che oggi non ci sono le voci…, secondo me ci sono! Ci sono tanti giovani cantanti molto talentuosi. Ovviamente bisogna essere preparatissimi: oggi come oggi magari si arriva con un livello non proprio perfetto, perché i giovani vogliono subito arrivare e subito cantare nei grandi teatri, ma non è questa la strada da percorrere, bisogna fare cose più piccole prima di fare quelle più grandi. Aggiungerei anche che certi teatri devono obbligatoriamente accontentare il loro pubblico, scritturando Artisti di una certa fama, nomi conosciuti che il pubblico riconosce, anche se questo a volte non è prerogativa di grande prestazione. Comunque ci sono tanti piccoli teatri nel mondo dove i giovani possono fare i loro primi passi sul palcoscenico, basterebbe darsi da fare e cercare. C’è spazio per tutti.
Lei ha avuto la fortuna di essere al momento giusto al posto giusto e questo Le ha permesso quindi di andare avanti?
Esatto. Ovviamente quando io mi sono esposta con la mia voce ho proposto un prodotto che se non fosse stato buono, mi avrebbe escluso subito da questo mondo. Se sono alla Scala un motivo c’è.
Per Lei che è Italiana, esibirsi per la prima volta in un teatro così importante, in coppia con uno dei più famosi cantanti al mondo che è Placido Domingo, che cosa Le ha fatto provare?
L’emozione era tantissima, da star male, tale quasi da non riuscire a respirare e quindi a non cantare bene. Ero molto, molto emozionata! La performance non sarà stata ottimale ma visto il “triplo” debutto importante sono fiera del risultato.
Torniamo alla questione dei giovani: esistono molti concorsi lirici. E’ giusto secondo Lei partecipare a questi concorsi, e ce ne sono di più determinanti rispetto ad altri?
Io non sono molto positiva con i concorsi, ne ho fatti tantissimi e mi sono sempre andati tutti male. Anche lì ci sono tanti giochi di potere, e quindi consiglierei ai giovani di non fare concorsi ma di fare audizioni, direttamente con i teatri, ovviamente guidati da qualcuno, un agente o qualcuno che ne faccia le veci per entrare nei teatri, oppure con associazioni musicali che organizzano delle belle cose, come è successo a me che nel mio piccolo facevo i miei giri e che comunque ti danno la possibilità di maturare, di studiare, anzi con l’occasione ringrazio Giaroland e Stefano Giaroli.
Trova che sia corretto cantare qualsiasi cosa, in qualsiasi ambito, pur di farsi strada, oppure è meglio seguire la propria inclinazione, le proprie doti?
Assolutamente no, basta con questa cosa, ma ormai vedo che sta andando così, questa è la linea, si canta tutto pur di cantare, io me ne sto nel mio repertorio, e me ne guardo bene di… . Anche a me piacerebbe cantare per esempio Violetta o Mimì, ma se le mie corde mi dicono di cantare un certo repertorio canto quello. Purtroppo è più l’inverso: quando si ha una voce più leggera si cerca di andare in un repertorio più pesante, ed è sbagliato.
Dei tanti ruoli che ha cantato fino ad ora, qual è quello in cui si identifica di più, o che Le piace di più?
Mi identifico molto in Abigaille e Lady Macbeth… Devo dire che riesco a dare tutto in Abigaille, invece in Lady Macbeth, oltre allo stesso discorso che ho fatto per Abigaille, amo proprio il ruolo… . Queste ultime recite di Macbeth a Piacenza con Leo Nucci sono state bellissime. Con lui ho molto feeling, ci siamo ritrovati sul palco in questa occasione.
Che è molto impegnativo comunque?
Si… però per me è molto fluido: ci sono le pause giuste per potersi rilassare con la voce, ed è scritta bene, invece sono rimasta scioccata dalla Lucrezia Contarini (ride) che è veramente un tour de force!
Perché non ha un attimo di respiro?
Si è vero, non ho un attimo di respiro, poi sempre lì, sempre negli acuti, sempre molto alta.
Quando canta in scena, cerca di immedesimarsi di più nella parte, o nella tecnica di canto?
Nella parte… vorrei cercare di curare bene il testo, perché se si pronuncia bene poi si canta anche bene. Quindi cerco di esprimere quello che sto dicendo. Poi quando si è sicuri della tecnica, cerchi solo di interpretare. Bisogna ovviamente essere sicuri della propria voce, dei propri mezzi, allora ti puoi dedicare all’interpretazione, sennò è un po’ difficile. In alcuni punti di Lucrezia devo comunque “pensare” a mettere bene il suono.
Ci sono varie correnti di pensiero che distinguono le tipologie di soprano, altre invece dicono che la cantante deve avere la padronanza di un tecnica completa, che sia per natura o acquisita. Che cosa pensa di questo?
La tecnica bisogna acquisirla sicuramente, ma è la stessa per ogni voce; sono anche d’accordo sul distinguere i vari tipi di soprano, in base alla voce che si ha, che sia costruita o che sia naturale. Però la dinamica è quella, il respiro è quello, e questo vale per tutti: soprano, baritono, tenore. Per tutti vale la tecnica vocale, quella giusta, poi va’ a capire qual è quella corretta: quando all’orecchio risulta una voce forzata, che non è naturale, c’è qualcosa che non va.
Esiste per Lei un insegnante ideale, e, se si, che caratteristiche deve avere? Cosa deve trasmettere?
Purtroppo è difficile trovare un insegnante ideale, innanzitutto deve esserci sempre un rapporto tra insegnante e allievo che non vada oltre, che non entri troppo nel personale, esperienze del genere purtroppo sono andate male; deve cercare di capire la voce che ha davanti, di portarla al più naturale possibile, anche nella scelta del repertorio, questo è importante. Molti spesso sbagliano, per esempio: “tu sei un baritono e fai questo repertorio”, quando è tutt’altro, e si rovinano così le voci di questi ragazzi. E’ difficile comunque trovare un buon maestro oggigiorno. Forse quelli del passato, alcuni, sono in grado di capire questo.
E con quello attuale che ha, Federico Longhi, come si trova?
Con lui ci conosciamo da tempo, conosce tutte le sfaccettature della mia voce, e con lui ho avuto i miei primi successi, quindi mi trovo benissimo, c’è anche un rapporto di amicizia, vado un po’ contro a quello che ho detto (ride), ma con lui riesco a parlare anche delle scelte di repertorio e c’è quindi una bella intesa.
Come vive il rapporto con i registi e i direttori d’orchestra?
Abbastanza bene in generale… Per i registi penso ovviamente che non si debba uscire troppo fuori dal filo della drammaturgia dell’opera. Per esempio mi sono trovata a fare delle produzioni con regie che non raccontavano la verità dell’opera, si deviava proprio, questo mi sento di doverlo dire, poi si rovinano magari dei rapporti, però è bene che un’artista, soprattutto italiano, riconosca quando non c’è nella regia un filo conduttore, una linea che racconti la verità dell’opera, il volere del compositore.
Preferisce degli allestimenti più tradizionali in costume, piuttosto che degli allestimenti moderni, sembra di capire…?
Si, sono classica (ride). Adesso son tutti con questa moda del contemporaneo, del moderno, della modernità, mah… se si facesse un po’ come una volta… bisogna raccontare la storia vera, come voleva l’autore. Con i direttori invece ci deve essere uno scambio di idee, e comunque arrivare in prova con una propria idea musicale del personaggio, quindi scambiarsi dei pareri, a volte ci si scontra perché il direttore ha quell’idea e da lì non lo smuove nessuno. Però questi deve capire che tipo di voce ha davanti, e cercare di metterla a proprio agio, aiutarla per poter dare il massimo di se stessa. A volte questo non succede, a volte si.
Quindi chi si adegua di più? Il direttore o il cantante?
…(ride)… il cantante.
Riccardo Muti com’è per esempio?
Mi sono trovata molto bene nelle due opere nelle quali ho collaborato con lui. Si è lavorato molto sul testo e sulla “correttezza della croma” (ride). Mi disse una volta: <<io quando morirò sulla tomba farò scrivere: “Qui giace colui che ha inseguito per tutta la vita la correttezza della croma” >>.
Le è mai capitato di riscontrare o affrontare delle rivalità tra colleghe?
Non so come rispondere. C’è molta rivalità. Io vengo da una famiglia semplice, umile, povera, abbiamo dovuto faticare per emergere, io ho fatto tanti sacrifici per arrivare fino a dove sono adesso, e quindi non c’è bisogno di apparire chi non si è, o di fingere. Io sono così, me stessa, come lo sono sul lavoro, vorrei andare d’accordo con tutti, vorrei essere in pace con tutti, ma a volte non è possibile e ci sono di questi scontri, bisogna tentare di mitigare. Io ho anche una famiglia, una bambina piccola quindi, finito lo spettacolo, torno a casa. E’ bello avere una famiglia su cui contare, riuscire a scindere la realtà dalla finzione.
Riesce a conciliare il lavoro e la famiglia, visti anche i frequenti spostamenti?
Si, tenendo presente che la bambina è piccola, ha quasi cinque anni e quindi l’ho sempre portata con me, perché voglio viverla, quando le sto per troppo tempo lontana mi manca, cosa ci posso fare, non voglio soffrire per la lontananza. Amo molto cantare, non posso stare a lungo senza farlo, però amo molto di più mia figlia, quindi cerco di conciliare le due cose e sceglierei senz’altro mia figlia se fossi costretta.
Come vive il rapporto con il pubblico? Pensa che l’uditorio attuale sia competente o abbia delle lacune? Si intende, i melomani di oggi sono pignoli come una volta o sono più “incompetenti”?
Non dico molti, però una parte è ancora legata ai cantanti del passato, quindi se non sentono quel tipo di voce, sei bocciato. I tempi sono cambiati, la tecnica è cambiata: adesso si fa più attenzione al suono bello, invece una volta si cantava… mi ricordo, per fare un esempio, la Ponselle, o altri artisti dell’epoca, che cantavano senza coprire il suono, naturale e si capivano tutte le parole, invece adesso si cerca di coprire tutti i suoni, di fare il suono bello, si tralasciano le interpretazioni, si tralasciano le emozioni, e questo non va bene. Io punto molto sul trasmettere emozioni per esprimere di più. Se non ci fosse il pubblico non ci saremmo noi, quindi è molto importante…Vorremmo che tutti ci apprezzassero ma non si può piacere a tutti, quindi accettiamo tutto questo, fa parte del gioco. Ovviamente bisogna arrivare sempre preparati.
Notiamo che il Suo repertorio è prevalentemente Verdiano… Cosa pensa delle varie donne di Verdi? C’è qualcosa che le unisce secondo Lei? Quali sono le differenze con gli altri autori?
Nel primo Verdi le donne sono tutte delle guerriere, nel vero senso della parola, e anche la scrittura musicale è da guerriere, immaginiamo questi salti, dal basso verso l’alto, o viceversa, questo dimostra proprio il tipo di personaggio. Invece nel Verdi più maturo sono donne sempre molto coraggiose, ma più sentimentali, che tralasciano il potere, ma espongono più veri sentimenti di donna, e quindi anche la scrittura musicale diventa più legata, più dolce. Io lo amo tutto, il primo ed il secondo, penso che Verdi abbia scritto molto bene, a parte Lucrezia Contarini (ride); quindi trovo la mia voce molto adatta a Verdi. Mi piace fare anche delle incursioni in altri ambiti, come ad esempio in compositori veristi, opere come l’Andrea Chénier, Pagliacci, che ho interpretato ultimamente …anche per riposarsi un po’. E poi ho fatto la stessa cosa quest’anno nel repertorio donizettiano, che non mi sarei mai aspettata. E’ stata un po’ una sorpresa per me, ho voluto provare, anche perché da molto tempo mi dicevano che la mia voce era adatta per i ruoli seri donizettiani; ho provato con Roberto Devereux e devo dire che mi trovo molto bene, mi è piaciuto molto interpretare Elisabetta, spero di rifarla ancora, soprattutto in Italia, perché l’ho debuttata all’estero. La mia voce è abbastanza duttile, pur avendo un range definito sono pronta agli esperimenti, ovviamente consapevoli e studiati.
Cosa fa per prepararsi? Studia prima il libretto e poi…?
Inizio documentandomi. Leggo e cerco di ricostruire, con gli input che il compositore dava e riceveva all’epoca in cui ha scritto l’opera. Ad esempio per questa produzione scaligera ho avuto l’enorme fortuna di vivere l’atmosfera dei Foscari alla mostra di Hayez da cui sicuramente Verdi avrà attinto. Poi mi metto al pianoforte e inizio con il “tastino” a studiarmi tutta la parte, successivamente dal pianista, dallo spartitista, a studiare il fraseggio e la musicalità. E quando “ho messo su” un’opera, cerco e ascolto con approccio critico un po’ di incisioni del passato, per arrivare alle esecuzioni con i direttori più recenti per migliorarmi, pensando “ma perché qui il soprano o il direttore han fatto così e non cosà?” E poi lavoro sulla parola, cercando anche il significato del linguaggio aulico, spesso molto complicato, del testo del librettista.
Un aneddoto curioso da raccontare?
Durante una recita di Tosca, dopo aver cantato “O Scarpia, avanti a Dio” mi giro per buttarmi e sul materasso trovo Scarpia sdraiato che mi faceva le smorfie, ovviamente si è spostato sennó lo schiacciavo.
I prossimi Impegni?
Sono appena rientrata da Monaco, per le due recite del Ballo in Maschera di Verdi, capitate all’improvviso. Zubin Mehta è fantastico, è stato molto contento della mia performance. Ad Aprile e Giugno sarò a Las Palmas e Menorca, in quest’ultima città con Leo Nucci per Nabucco. A breve partirò poi per Londra per cantare al Covent Garden per la prima volta in questo teatro, per il Trovatore, con Noseda. Ho già interpretato questo ruolo due volte, ma sarò molto emozionata per questo debutto londinese, che rifarò poi anche a Macerata in estate. Partirò quindi per San Francisco, per una produzione con Nicola Luisotti di Andrea Chénier e a seguire un altro debutto, in Adriana Lecouvreur, a Napoli.
Grazie infinite, Le auguriamo una brillante carriera, in bocca al lupo, e, come dice lei….
Viva il lupo!